Ritratto di signora è una collezione di istanti fragili, volti di donne appena tremanti le cui storie sono vagamente udite nel minuscolo silenzio che c’è tra un click e l’altro.
Ritrarre una signora, dunque.
Non una donna: una signora.
Quel qualcosa in più, quel qualcosa in meno, quel qualcosa oltre.
Esattamente quel qualcosa. Che cosa? Un non-so-che.
Perché una signora non è un’età, non è un denaro, non è un luogo.
Una signora è un modo di guardare il mondo e di lasciarsi guardare dal mondo.
Una signora è avere dieci anni, trenta, cento. È intravedere appena la vita, è esserne travolta sempre.
Una signora è un modo di portarsi addosso un viso, di indossare la propria pelle e la propria storia, adornandosi il capo di petali, piume, presagi.
Una signora è sempre una bambina. Eppure, al contempo, una signora non è mai stata solo una bambina.
Una signora è una malizia, un’ora oscura, una bugia ben raccontata.
Una signora è un istante in cui l’eleganza e la brutalità della vita, inspiegabilmente, combaciano.
Una signora è un lampo di nudità anche quando il corpo è sommerso di stoffe, cappotti e menzogne.
Una signora è una fatica, un inganno, una prova troppo difficile.
Una signora è quasi un animale selvaggio, verità che fa tremare.
Una signora sa sempre che esiste la morte, e si accanisce sempre per proteggere la vita. E una signora gioca sempre, in modo solenne e forse un po’ disperato. Perché una signora ha bisogno di ridere, di ridere, ancora e più forte.
Possibilmente, fino alle lacrime.
Ritratto di signora è l’ardore di una manciata di momenti segreti impigliati tra i bordi di un’immagine. È l’affannoso desiderio di catturare un non-so-che e di
portarlo non-so-dove.
Ritratto di signora è una galleria intima, popolata di presenze femminili che si danno obliquamente, per sussurri e sospiri. Pronte a sottrarsi, a ritrarsi, trascinandosi addosso i propri segreti, le sillabe mute dei loro nomi non svelati. I loro volti catturati in fotografia, quasi immobili benché tremanti, dicono e tacciono una storia più dolente, più indicibile. Da lì, appena oltre il filtro sospeso dell’immagine, queste signore ci guardano mute e quasi beffarde, lacerate e perplesse, seducenti, lievi. Dietro l’obbiettivo, ça va sans dire, lo sguardo di un uomo.
Perché Ritratto di signora è il crocevia di due differenze che si incontrano, l’esercizio di questo incanto strano: piccolo labirinto radioso in cui perdersi un po’.
È una storia che si fa da sola, e poi passa – così, senza quasi fare male.
Fotogramma dopo fotogramma.
Testo di Silvia Ostuzzi