Let’s Folk: non “fenomeni da baraccone”, ma uomini e donne pregni di “umanità”.
L’intento documentaristico scioglie la propria rigiditá al fuoco di un romanticismo decadente, facendo fuoriuscire dal grottesco -di paesaggi, soggetti e scene – una bellezza scarnificata, lievemente sofferente, intensa.
Da Let’s Folk traspare una malinconia inconscia, non conosciuta per esperienza diretta, ma radicata sì profondamente (nello spettatore) da identificarsi con il background emozionale di chi guarda.
Cos’è il folklore se non l’iconografia delle radici, la trasposizione sul piano reale di storie, leggende, tramandate a voce, spinte avanti a memoria, impregnate di una ritualitá atavica che non sentiamo di appartenere ma che, inconsciamente, perpetriamo?
La periferia è il luogo del folklore: la tradizione è decentrata, fuori dai riflettori.
Lontano dalle masse, è dentro al popolo.
Le fiere di paese ricalcano ovunque lo stesso copione, con i loro tendoni lisi, le tavolate in serie, l’odore della carne al fuoco.
Il rituale collettivo si compie sulle piste da ballo; la musica esce forte dagli altoparlanti, e si riversa sgraziata sulle coppie che interpretano se stesse.
Let’s Folk: non “fenomeni da baraccone”, ma uomini e donne pregni di “umanità”.
L’intento documentaristico scioglie la propria rigiditá al fuoco di un romanticismo decadente, facendo fuoriuscire dal grottesco -di paesaggi, soggetti e scene – una bellezza scarnificata, lievemente sofferente, intensa.
Da Let’s Folk traspare una malinconia inconscia, non conosciuta per esperienza diretta, ma radicata sì profondamente (nello spettatore) da identificarsi con il background emozionale di chi guarda.